“Lo stretto necessario”

di Alberto Rossi

Cosa ci serve veramente per respirare un po’ di serenità? Un altro racconto breve, che può essere letto come prosecuzione dei 3 precedenti (“Caprioli e falchetti“,  “Dall’alto“, “Mondi paralleli“).

Lo stretto necessario

Mi sveglio di buon mattino, come sono solito fare. Mentre vado in bagno, accendo lo smartphone, il modem e il pc. Sono curioso di vedere se ci sono risonanze dopo la bella (almeno per me) presentazione di ieri a Ferrara. Preparo il caffè e tendo l’orecchio. Per ora, nessun trillo, nessun segnale di notifica, niente. Mi sembra strano, appoggio la tazzina e controllo nel pc e nel cell: in effetti, non ci sono email, né messaggi su whatsapp, né commenti sulla pagina Facebook. Mi sale un’inquietudine crescente, soffocante.
Per fortuna, mi sveglio. Sto per andare in bagno e…
«No, – penso quasi ad alta voce – non renderò reale l’incubo, non gli darò vita proprio stamattina».
Evito di guardare verso il tavolino su cui è posato il pc, lascio che dorma. Non cerco lo smartphone, chissà dove l’ho messo, ma va bene così. Mi dedico al caffè, adoro il profumo che emana il macinato appena si apre il barattolo. Lascio che penetri nelle mie narici, chiudendo gli occhi.
La lentezza dei gesti, mi dà un senso di pace e libertà. I commenti e i riscontri alla serata di Ferrara, positivi o negativi, pochi o tanti che siano, non cambieranno certo se li leggo ora o fra un’ora, o fra un giorno.
Penso a queste tre sensazioni: lentezza, pace, libertà. E ai loro contrari: velocità, guerra, schiavitù. Rivedo come in un film gli ultimi mesi della mia vita, da quel viaggio in treno verso la prima casa editrice alla presentazione di ieri sera. Mi rendo conto che in diversi momenti ho rischiato di far dipendere il mio stato d’animo interamente da una notifica sul cellulare, di essere travolto dalla fretta di rispondere a un messaggio, di cadere in una accesa discussione poco utile, di perdere il contatto con il mondo reale per farmi guidare da un Cicerone virtuale…
Vedo anche, in questo film, che me la sono cavata sempre abbastanza bene. A volte per un combinazione fortuita di eventi, a volte “in corner”, come si suol dire.
Tuttavia, sorseggiando piano il mio caffè, ora sento che la mia libertà e la mia serenità non sono abbastanza quotidiane, non possono essere relegate al ruolo di momenti occasionali, tra una telefonata e un tweet. Provo il desiderio di invertire le proporzioni: tra una semplice chiacchierata e un dibattito, tra un pensiero solitario e uno studio corale, tra un paesaggio immaginato e una strada percorsa a piedi, solo qualche sguardo rapido allo smartphone, o a qualsiasi altro strumento che mi faciliti il contatto, ma niente di più.
Finisco il caffè, mi vesto per uscire a fare una passeggiata. È una tiepida giornata di maggio, resto in pantaloni e camicia, non prendo altro, ho tutto quello che mi serve.

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